lavoro che non si trova: serve uscire dall’ideologia

Fintanto che resteremo ancorati a pre-giudizi e stereotipi non riusciremo a risolvere alcuna questione importante, continueremo solo a bisticciare come galli in un pollaio.
Periodicamente, spesso a scadenze programmate, per non so quale disegno, si riparla della crisi del lavoro, le aziende si lamentano di non trovare maestranze da impiegare e i disoccupati di non trovare aziende che li assumano.
Sembra un paradosso, le due facce di una medaglia ma soprattutto due punti di partenza veri e faziosi allo stesso tempo.
La necessaria premessa è comunque l’analisi del contesto, che vale per qualsiasi punto di vista e per ogni ragionamento successivo.
Viviamo in un momento complicato, viviamo in un Paese complicato, burocrazia, leggi superate, una politica inefficace e inefficiente, incompetente, arrogante, poca predisposizione alla programmazione ma solo gestione emergenze, una giustizia ad personam e spesso con tempi biblici, incertezza delle pene, un sistema mediatico di scarso valore professionale e spesso connivente per sostenere tesi a comando, una stampa che spesso genera più conseguenze che le sentenze, una scarsa cultura del lavoro/aziendale, una scarsa predisposizione a documentarsi prima di parlare o addirittura di legiferare, un ambiente sociale frammentato, delirante, preoccupato, stressato, schizofrenico, ignorante, frustrato e incattivito con il mondo intero, opinion leader spenti e autoreferenziali, pochissimi esempi eccellenti.
Certamente ho tralasciato alcune altre criticità, quindi facile comprendere che il contesto (che come sappiamo incide moltissimo sulle attività individuali) non sia quello più idoneo per andare verso un miglioramento, verso un equilibrio delle posizione, verso una logica di valore condiviso e sostenibile, anche nel lungo periodo.
Bene (o meglio male) in questo campo di battaglia si affrontano aziende e dipendenti e già questa rappresentazione da la dimensione di quanto sia tanto radicata quanto anacronistica quella visione degli anni passati che vedeva (e spesso ancora vede) in costante contrapposizione direzione e maestranze, imprenditore e lavoratori.
Su questo tema ci si potrebbe stare delle ore ma la sintesi è che dobbiamo convincerci (tutti) che parliamo di elementi indispensabili per il successo aziendale (inteso come insieme di tutte le componenti e parti coinvolte) e non di antagonisti all’interno di un comune progetto.
Il goal aziendale deve essere inteso come un successo condiviso e distribuito equamente tra tutte le parti coinvolte, in proporzione all’apporto che ognuno ha dato al progetto.
Andiamo oltre.
Imprenditori e dipendenti fanno tutti parte della medesima specie, sono uomini, cioè bestie minimamente evolute, con punti di forza e debolezza, con pregi e difetti, con buone intenzioni e meschinità.
Sono tutti bravi? No
Sono tutti onesti? No
Hanno tutti buone idee e le sanno mettere in pratica? No
Sono tutti dei delinquenti? No
Ci possiamo fidare e dobbiamo diffidare di tutti indistintamente? Certamente no.
Quindi ci sono imprenditori seri, lungimiranti, coinvolgenti, lavoratori e im-prenditori furbetti, disonesti, arroganti, incapaci.
Ci sono maestranze di valore, coerenti, volenterosi, proattivi e geni della truffa, nullafacenti, approfittatori, incapaci.
La realtà è quindi frammentata e disomogenea, possiamo trovare tutto e il contrario di tutto, dipende solo dalla nostra capacità di analisi, dal nostro approccio, dalla casualità, dalla persistenza della nostra ricerca, dalla nostra coerenza e dal livello del nostro bisogno o della nostra capacità di adattamento.
Ci sono imprenditori che andrebbero radiati dalla categoria, dovrebbero essere messi al bando sia dal sistema sia e soprattutto dagli omologhi, visto che portano discredito e diffidenza verso tutti gli altri.
Sono quelli che non hanno capito il valore e la forza di un ambiente coeso ed in equilibrio, sia per la qualità della vita, sia per i risultati economici che può generare nel tempo sia per l’eccezionale contributo che potrebbe generare al sistema esteso del quale facciamo tutti parte.
Sono quelli che pensano tanto utilitaristicamente quanto erroneamente di speculare su ogni cosa, sfruttare ogni persona, interna ed esterna all’azienda, concentrati ad ottenere risultati immediati e non di lungo periodo, quelli che non hanno vergogna a guardarsi allo specchio.
Sfruttamento, ricatti psicologici, abuso di posizioni dominanti o di stati di necessità, lavoro nero, paghe sotto soglia, nessun rispetto, nessuna formazione, nessun orario, nessuna garanzia, nessuna prospettiva.
Ma non son tutti così.
Ci sono persone che hanno una vision più etica, più sostenibile, quelli che creano aziende e valore non solo economico ma anche relazionale-umano.
Quelli che condividono un percorso e delle opportunità con persone che fanno parte della loro vita, diventano come familiari.
Sono quelli che spesso sono soli nelle decisioni, ci soffrono quando le cose non vanno bene, si sentono una responsabilità personale e sociale per ciò che fanno.
Sono quelli che comprendono che la crescita è funzionale e duratura se condivisa e sostenuta da solide basi, sono quelli che diventano esempi da imitare o almeno ricordare.
Ci sono poi persone che cercano e non trovano lavoro.
Lo cercano solo a parole o nel modo sbagliato, lo cercano sperando e/o sapendo già di non trovare nulla adatto a loro.
Ci sono poi persone che lo cercano e lo trovano quel lavoro, ma sono perennemente insoddisfatti.
Hanno sempre mille motivi – scuse per lamentarsi, mai riescono ad attribuire almeno una causa di insoddisfazione a sé stessi, le colpe sono sempre degli altri, del mondo cattivo, di qualcuno che vuole loro male o del meteorite caduto dal cielo.
Sono energivori, dei virus che generano conflitti e malumori nella migliore delle ipotesi, dei danni nel resto dei casi.
Poi ci sono i professionisti della “sopravvivenza a modo loro”, quelli che riescono a stare in un posto, succhiarne tutti i benefici possibili, senza generare una minima evidenza di valore, per anni, a volte per una vita intera: inefficienza, imboscamenti, pseudo malattie professionali, fantomatici infortuni e spesso risarcimenti, e liquidazioni-estorsioni ai danni dell’azienda, dell’imprenditore e di tutti i dipendenti onesti e lavoratori.
Assenteisti, abusivi, in nero, nullafacenti, infedeli, doppiolavoristi, sussidiati senza titolo per esserlo, incapaci senza voglia di migliorare, problematici.
Ma non sono tutti così.
Ci sono persone serie, persone oneste, persone valide, persone che condividono vision e mission e spesso la creano se si trovano a lavorare in un ambiente arido o poco professionale.
Sono quelli che comprendono che le sorti aziendali corrispondono alle sorti personali di ogni persona coinvolta.
Sono quelli che ci mettono del loro, ragionano, agiscono, cercano di migliorare sé stessi e tutto l’ambiente nel quale passeranno alcuni anni o una vita intera.
Ci sono persone che cercano di risolvere i problemi, appianare i conflitti, condividere conoscenze e opportunità con i colleghi e generano valore per l’azienda e tutto il sistema nel quale sono inseriti.
Ci sono persone che rivestono con competenza e dignità qualsiasi ruolo, persone apprezzate per le loro doti umane e professionali, persone che tutti gli imprenditori vorrebbero avere e solo quelli illuminati saprebbero coerentemente fidelizzare, gratificare, premiare, oltre al dovuto.
Sono quelli che non avranno mai difficoltà a cambiare lavoro ed ottenere le migliori soddisfazioni professionali.
Ora determinare una percentuale per ognuna di queste categorie mi pare gioco inutile e complicato.
L’unica cosa che, a mio avviso, possiamo fare, tutti insieme, con i rispettivi ruoli, è quello di cercare di migliorare il contesto e non schierarsi “corporativamente” pro qualcuno ma incessantemente evidenziare, promuovere, condividere, sviluppare i comportamenti virtuosi e con coraggio, nominare, denunciare, stigmatizzare, boicottare, emarginare i disonesti.
Per farlo serve però molta onestà d’animo, coerenza, determinazione e costanza perché il processo di miglioramento è lungo e complicato e noi siamo esseri deboli, ognuno con un prezzo capace di zittire le coscienze più loquaci.
Il rischio di cedere poi è amplificato dalla solitudine, per questo serve grande condivisione e un movimento consapevole e coeso per portare avanti questi temi aldilà delle sterili polemiche.